COMMEMORAZIONE MARTIRI DEL FALCHETTO

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Testo dell'intervento del Presidente Chiamparino

Grazie ai cittadini di Santo Stefano Belbo, grazie al sindaco, grazie ai sindaci, grazie ai colleghi, ben sapendo che la Regione non è un comune, mi sento un po’ di essere e mi sentirò di essere  il sindaco del Piemonte,  almeno dal punto di vista del dialogo continuo  e del rapporto continuo con voi. Grazie all’ assessore  Colombatto per le belle parole che hai voluto pronunciare sul mio conto, un saluto affettuoso agli alpini con alcuni dei quali abbiamo  sfilato ancora recentemente a Pordenone, un saluto alle autorità e complimenti  alla banda trombettieri. Io da parte mia dico un grazie di cuore ad Angelo Marello che avete visto qui e non è il caso di applaudirlo di nuovo perché poi si monta la testa. Ci tenevo  a venire  e mi avete chiesto se sarei eventualmente  venuto di nuovo a ricordare i martiri del Falchetto e avendomelo  chiesto dopo le elezioni mi avete dato modo  di fare qui la mia prima uscita pubblica da Presidente della Regione . Mi fa particolarmente piacere per tante ragioni, intanto perché mi sento nel cuore del Piemonte, nel cuore di quel Piemonte, nella cittadina che ha espresso uno dei massimi esponenti della cultura italiana, uno dei massimi  interpreti del travaglio culturale di un’ epoca italiana e non è qui il caso di pronunciare il suo nome.   Mi sento nel cuore di quel Piemonte profondo che ha saputo passare dalla malora allo sviluppo, dalla malora descritta da Nuto Revelli alla crescita con tutti i suoi problemi e le sue contraddizioni, insomma ha saputo fare forse in alcuni casi di più e meglio di quello che  saputo fare il capoluogo. Essendo qui a ricordare i martiri del  Falchetto intendo simbolicamente dire di fare  la mia prima uscita da Presidente della nostra Regione ricordando tutti i martiri della Resistenza, ricordando tutti quei nomi scritti nelle tantissime lapidi che costellano ogni sentiero delle nostre montagne, delle nostre colline la vie delle nostre città e questo mi porta, lo dico a me stesso, a non dimenticare mai perché intanto il Piemonte non è stato soltanto la culla dell’ unità d’ Italia, ma è stata la culla della democrazia ed ha dato un tributo di sangue come non molte altre regioni hanno saputo dare e i martiri del Falchetto sono lì a ricordarlo, ma aiuta anche a ricordare che lo spirito, la passione con cui quelle persone hanno lasciato la vita sulle nostre colline e sulle nostre montagne è distante da tante cose  che succedono oggi. Pensate che divario morale c’è tra quei cinque ragazzi, che magari anche in modo un po’ inconsapevole, lasciano le loro case, salgono in collina per combattere contro la tirannia e chi fa del governo ragione di guadagno personale. Pensate a che distanza c’è ancora adesso. Chi ha del cittadino la responsabilità di governare deve ricordare che ci sono stati i martiri del Falchetto, deve ricordare che c’è stata quella gente, perché ti deve venire la pelle d’ oca quando parli di quelle persone e  pensi alle vicende di cui parlano i giornali in quel modo e i mercanti che stanno nel tempio della politica. Devono essere cacciati perché i cittadini hanno bisogno di ritrovare la politica della onestà, della limpidezza che c’era in coloro che hanno dato la vita per la libertà   Ma io non voglio essere retorico, perché la retorica uccide più della spada. Io dico che sono voluto partire di qui perché io credo che dobbiamo soprattutto fare memoria, perché solo così possiamo trarre gli insegnamenti utili per chi come noi e come tanti altri  hanno delle responsabilità per il presente e per il futuro. La riflessione che volevo proporre qui oggi, forse è una riflessione un po’ mia personale, però mi sembra anche giusto dato il momento non dico eccezionale, ma particolare, appunto la mia prima uscita da Presidente di questa Regione. E’ un tema che è affiorato sia nell’ intervento di  Colombatto sia in quello del sindaco. La resistenza ha unito o ha diviso. Certamente la resistenza ha diviso, è stata una guerra civile che da queste parti spesso ha diviso le famiglie, ha diviso gli amici e quando la divisione entra così nel profondo della società, diventa crudele, quindi non bisogna avere una visione onirica di quello che è stato, perché è stato scontro, è stata violenza. Come è inevitabile che siano le guerre e io da questo punto di vista ho detto nel 2009 e lo dico adesso: è morta tanta gente da tutte e due  le parti, spesso delle stesse famiglie. Io credo che il rispetto per i morti deve esserci per tutti, perché chi è morto pensando di fare la cosa giusta è giusto che abbia rispetto. Ma allo stesso modo quando si fa la ricostruzione che serva per l’ oggi e per il domani, quando si passa dal ricordo alla memoria, è giusto dire che chi è morto scegliendo la causa della libertà, della democrazia, della lotta alla tirannia, della lotta all’occupazione straniera non può essere non può essere messo sullo stesso piano di chi è morto dall’ altra parte. Io credo che questa sia una riflessione che dà conto della divisione anche aspra che c’è stata, che dà conto del rispetto che bisogna avere di tutte le persone, è un rispetto cristiano per chi è credente, ma anche civile per chi non è credente. Ma al tempo stesso quando passi a pensare al futuro devi dire che non è la stesso cosa essere morti per combattere il fascismo ed essere morti per cercare di mantenere in piedi un regime agonizzante, tirannico e dispotico. Però la resistenza ha anche un unito, ha come ha detto il sindaco e che ha scritto, ha unito nel ricostruire la democrazia. Io uso sempre quest’ immagine, l’ho usata a Treiso quando sono stato lì il 25 aprile: i partigiani combattevano con fazzoletti di colore diverso: verdi, rossi , azzurri e c’è stato un momento in cui hanno capito che quei colori, che quei fazzoletti dovevano fondersi, senza che nessuno abiurasse nulla, ma dovevano fondersi nel verde, bianco e rosso della bandiera italiana. Se hanno capito che era il momento di mettersi insieme per costruire un bene superiore, più grande e questo è stato il grande sforzo. E ora io dico, da questo punto di vista, a che punto siamo, perché in Italia adesso non voglio fare  un escursus storico su cui non ho né i titoli né il  tempo, però non v’è dubbio che dopo una fase immediatamente successiva alla vittoria della repubblica, del referendum, della promulgazione della Costituzione, c’è stata una fase di unità, di grande unità, è stato il punto più alto a cui quella fusione dei fazzoletti di chi aveva combattuto per la resistenza è arrivato al prodotto. C’ è stata una lunga fase nel nostro paese, che per ragioni  internazionali, per tragiche ragioni internazionali è stata profondamente divisa in cui gli uni non riconoscevano la legittimità degli altri. E questo badate è il punto cruciale perché la Costituzione con quelle mirabili spinte per cui qualcuno ancora dice essere la più bella del mondo, io non so se è così, non sta a me giudicarlo, è sicuramente una gran bella costituzione, è una mirabile sintesi che nasce esattamente  da questo sforzo  al punto più alto di quello posto dalla resistenza ed è stato utile il fatto che tutti hanno rinunciato  a qualcosa in nome di un riconoscimento legittimo. Non dimentichiamo che la Costituzione viene dopo che un ministro di Grazia e Giustizia di allora, Palmiro Togliatti, fece, non sempre capito dai suoi, l’ amnistia dei gerarchi fascisti. Quindi tutti hanno rinunciato alle proprie cose per cercare il punto di unione, di unità. Se non c’è riconoscimento legittimo in un sistema democratico manca l’ essenziale, cioè manca quello che fa fare il passo in avanti e che consente di dare risposte ai problemi  dei  cittadini. Ora la mia intenzione è questa: quanta strada dobbiamo fare per ritrovare quella capacità che ebbero  i patrioti resistenti per trovare i punti di convergenza. Ho detto: ci sono  state tragiche azioni internazionali, per cui praticamente noi non potevamo fare nulla. C’è stata un’epoca, faccio due nomi: Aldo Moro ed  Enrico Berlinguer, di cui è scaduto per altro il trentennale della scomparsa pochi giorni fa, c’è stato uno sforzo, non ci sono riusciti, poi siamo ripiombati in un altro trentennio in cui la delegittimazione reciproca è stata la spinta di base delle nostre forze  politiche. Io credo che bisogna porre fine a questo, però non vuol dire, badate bene, non esercitare la responsabilità che sta nel governo, perché io ho ben chiaro che chi è chiamato dai cittadini a governare, come dice don Ciotti in un suo libro, come ha detto don Aldo nella sua omelia, deve prima di tutto esercitare la responsabilità e la responsabilità è quella di ascoltare, ma è anche quella di decidere. Perché se uno non decide  si sottrae alla propria responsabilità. Ma questo non può essere fatto in un clima di delegittimazione dell’ avversario, anzi deve essere fatto in un clima di riconoscimento, di sforzo per riconoscere le ragioni degli altri. Io mi stupisco che coloro che  con la mano destra dicono che  questa è la costituzione più bella del mondo, con la mano sinistra poi demonizzino qualsiasi  intento di reciproco riconoscimento con la parola che è diventata sinonimo di negativo inciucio. Scusate, la Costituzione secondo alcuni che parlano di inciucio che cosa sarebbe se non un inciucio. La schizofrenia della politica e della cultura in Italia è alta: che cosa sarebbe la Costituzione, secondo alcuni, se una fase come quella che è stata nel 1948 che ha preceduto la promulgazione della Costituzione nel 48, sarebbe descritta come, come una generosa ricerca di reciproci riconoscimenti di portatori di interessi della casa comune o come l’ inciucio per nascondere sordidi interessi. E’ questo il punto. Io capisco che questa parola inciucio rischi di prendere il sopravvento per quello che ho detto  all’ inizio, per quella distanza morale, morale che c’è fra coloro che sono caduti al Falchetto e in altre tante  parti del Piemonte e dell’ Italia e coloro che rubano sulle opere pubbliche per arricchirsi. Però non c’è solo questo, perché lasciatemelo dire da piemontese, non da Presidente della Regione. Guardate che il Mose è nato negli stessi giorni, egli stessi anni in cui è nato il passante ferroviario di Torino. Il passante ferroviario di Torino  funziona, c’è ancora qualche cosa in superficie, e non c’è stata nessuna cricca, nessuna ghenga che ha usato quell’ opera per arricchirsi ed in più ci sono state le olimpiadi, s’è fatta la metropolitana, cioè si sono fatte grandi opere. Allora voglio dire e lo dico con orgoglio di piemontese, vuol dire che ci sono dei sistemi politici che sanno essere sani e che sanno espellere se mai ci sono i mercanti dal tempio prima che vi mettano piede, perché se no non si spiega come mai il Mose non funziona ed hanno costruito una macchina mangia soldi, almeno parlo così come dicono i giornali poi se la Magistratura dimostrerà il contrario ci spiegheremo meglio, ma al momento non sembra così. Noi abbiamo fatto delle grandi opere e i fondi sono stati passati al setaccio e nessuna cricca, nulla di tutto questo. Questo non è un merito del centrosinistra, abbiamo lavorato tutti assieme. Allora torno al riconoscimento reciproco perché è giusto che chi ha il voto eserciti la propria responsabilità, ma è giusto che  tutti convergano per stimolare, per criticare, ma partendo dal fatto che c’è un bene comune attorno a cui misurarsi attorno a cui cimentarsi. Allora io credo che  questo bene comune abbia un solo nome: il lavoro. Io credo che oggi se noi vogliamo non disperdere quello slancio che prima di tutto è morale che ci viene  dalla memoria della resistenza, dobbiamo batterci fino in fondo per raggiungere un solo obiettivo, io l’ho detto tante volte e lo ripeto qui, avere un giorno che non sia lontano, prima viene meglio è, in cui in questa regione, in questo paese possiamo dire che c’è un posto di lavoro in più che si crea di quelli che vengono distrutti perché una comunità che perde la speranza di potersi costruire un futuro attraverso il lavoro è una comunità che non ha più speranza, è  una comunità che degrada. Questo è lo spirito con cui io affronto questa mia responsabilità, questo impegno di grandissima responsabilità che i cittadini mi hanno dato, perché avere così tanto sostegno elettorale mi fa piacere naturalmente, ma dà un peso di responsabilità grandissimo. Io non so se , farò il possibile per esserne all’ altezza ed è tutto quello che io ho sempre detto, però  prima che iniziassero i sondaggi ho detto che forse ce la farò. A maggior ragione a bocce ferme io farò il possibile come  ho  dimostrato quando ho fatto il sindaco. Essere venuto qui oggi, in questo cuore del Piemonte dove c’è stata la rinascita civile e democratica del nostro paese è per me uno stimolo che mi aiuterà sicuramente ad andare avanti con determinazione, con energia, ma anche con grande capacità di ascolto per cercare insieme a tutti voi di far ripartire il nostro Piemonte.